Lo scorso 23 Maggio si è tenuto, presso la sede di Unigum, un incontro con Giuseppe Ungherese, esperto ambientale e di economia circolare, nonché responsabile di alcune campagne di Greenpeace.
L’incontro è stato uno spazio in cui Ungherese ha parlato del suo ultimo libro, “PFAS. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua. Storie di diritti negati e cittadinanza attiva” in cui tratta la situazione dei composti fluorurati a livello globale, del perché siano dannosi per l’uomo, passando anche dell’episodio PFAS Veneto, che ha causato un massiccio inquinamento delle falde acquifere in alcune province italiane durante gli scorsi decenni.
Il caso è iniziato da Marzotto, una nota azienda tessile che opera nel territorio di Vicenza. Un loro stabilimento di ricerca, che negli anni ’80 è diventato Miteni (una joint venture Mitsubishi ed Eni), si occupava di impermeabilizzare i tessuti prodotti dall’azienda, trattandoli a questo scopo proprio con i PFAS, i cui residui rimanevano nei prodotti di scarto della lavorazione.
I problemi sono sorti per via dello stoccaggio dei residui contaminati da queste sostanze: tenuti sotto lo stabilimento stesso, situato sopra la zona di ricarica della falda (la seconda più grande d’Europa), hanno contaminato per anni le acque vicine alla superficie.
Così questa contaminazione si è diffusa in tutto il vicentino, che riceveva acqua potabile proprio dalla falda in questione, e 350.000 persone hanno registrato livelli anomali di PFAS nel loro sangue per oltre 4 anni.
Cosa sono i PFAS e perché rappresentano un pericolo
Perché quello che abbiamo appena detto rappresenta un problema?
I PFAS, o sostanze perfluoroalchiliche, sono una famiglia di composti chimici di sintesi, non presenti in natura, utilizzati in vari settori industriali.
Abbiamo visto come Marzotto li usasse per rendere impermeabili i tessuti, ma conferiscono anche altre proprietà importanti ai materiali trattati: resistenza agli acidi, resistenza al fuoco, agglomerazione, malleabilità
Il problema è proprio che, se per materiali inorganici queste molecole sono formidabili, per gli esseri viventi rappresentano una minaccia: diversi studi – soprattutto recenti – hanno individuato dei legami tra PFAS e patologie come il colesterolo, ma anche alcune forme tumorali.
Nel caso dei PFAS in Veneto, la loro elevata presenza nel sangue è stata associata appunto a colesterolo in età infantile, nonché a diverse patologie fino ad arrivare al vero e proprio decesso.
Il problema è anche di stampo ambientale: essendo “inquinanti eterni” incolore, insapore ed inodore e diffondendosi agilmente sia via acqua che via aria, la loro diffusione è ormai globale: Ungherese ha spiegato che si sono rilevati PFAS addirittura nel latte materno delle orse polari, in Antartide.
Come possiamo difenderci dai PFAS?
Oggi, fortunatamente, la situazione è radicalmente cambiata da qualche anno fa.
Se nei decenni scorsi la nocività dei PFAS per l’uomo era tenuta nascosta, oggi è di dominio pubblico e diverse realtà si stanno muovendo per rimediare ai danni e prevenirne altri.
Le comunità intorno a Vicenza, colpite dall’inquinamento delle acque, hanno dato vita ad un mercato “0 PFAS”, in cui gli agricoltori si sono impegnati per la bonifica delle terre, fornendo prodotti finali privi di inquinanti. La popolazione ha sostenuto questi mercati ed oggi sono diventate vere e proprie filiere indipendenti da quelle tradizionali.
Anche le istituzioni si stanno muovendo: molte nazioni hanno finalmente regolamentato (ed in alcuni casi vietato) l’uso dei PFAS, limitando il loro effetto nocivo.
La Francia, ad esempio, ha recentemente stretto la presa sull’acqua minerale, in cui sono state rilevate tracce di queste sostanze.
I consumatori, da qualche tempo, possono trovare anche bollini su alcuni prodotti, che indicano l’assenza di PFAS.
Insomma, nonostante la situazione sia comunque allarmante, la direzione in cui ci stiamo muovendo è quella giusta e nella sua opera Ungherese esamina tutte le soluzioni che abbiamo a disposizione, nonché quelle più promettenti.
Le responsabilità dei processi produttivi
Il contributo dell’autore è stato molto prezioso e ci ha dato l’occasione di ragionare sull’influenza che i processi produttivi hanno sul mondo che ci circonda: tutti noi possiamo – e dobbiamo – fare di più.
Spesso viene commesso l’errore di considerare un prodotto (come un DPI) solamente un oggetto, che assume valore esclusivamente per le sue caratteristiche tecniche.
Importantissimo, però, è anche tutto ciò che ha portato questo prodotto al consumatore finale: quali attenzioni sono state messe nella sua produzione? Come è stato trattato dopo il suo utilizzo? Quale impatto ha avuto sull’ambiente dopo essere stato utilizzato?
Sono proprio riflessioni di questo tipo che hanno portato Unigum, negli anni, ad abbracciare una visione più olistica della vita di un DPI, considerando non solo la qualità di un prodotto ma anche tutto ciò che lo circonda.
Così sono nati servizi come il recente UniCircular Safety, dedicato in modo particolare al fine vita dei dispositivi di protezione, oppure le numerose certificazioni che attestano il nostro impegno aziendale nel cambiare la concezione di sicurezza lavorativa.